La “mia” via di San Francesco

 “Il panda non adempirà mai al suo destino, né tu al tuo, se non rinuncerete all’illusione del controllo. Guarda quest’albero Shifu: non posso farlo fiorire quando mi aggrada, né farlo fruttificare prima del suo tempo”

(Maestro Oogway, “Kung-fu Panda”)
 “Non è importante la meta, ma il cammino”

 (Paulo Coelho, ma una roba del genere l’ha detta anche Jack Sparrow)

Cronaca di un fallimento? Lo giudicherete voi alla fine.
Dopo la bellissima esperienza di due anni fa ho voluto intraprendere un nuovo cammino su più giorni.  Avevo sentito parlare del Cammino di San Francesco, da Rimini (casa) a La Verna. I viaggi nascono vaghi nella testa, mesi prima, poi prendono pian piano forma con una elaborazione quantomai costante: dopo aver ricevuto le informazioni di massima, ti documenti sulla Rete, acquisti il libro sull’argomento e crei il tuo cammino personalizzato.

L’entusiasmo è un motore formidabile. Da due anni a questa parte mi sono allenato soprattutto correndo, ho concluso una mezza maratona e due ten miles. In fondo camminare non è altro che una corsa molto lenta, gli organi interessati sono sempre i medesimi. Perché allora non accorciare il tempo di viaggio da cinque tappe (quelle che caldeggiava il libro) a tre?

Purtroppo l’entusiasmo mi ha fatto dimenticare che anche fare l’amore e la minzione coinvolgono lo stesso organo ma che nessuno si sognerebbe mai di scambiare un’azione per l’altra.

E così, dopo due tappe, una di 41 km e l’altra di 30, un fastidioso dolore al retro del ginocchio destro mi ha costretto ad abbandonare il percorso canonico. Come vedrete dalle tracce gps qui in fondo, ho raggiunto La Verna da una parte completamente diversa, su 19 comodi km di salita su asfalto.

Non posso escludere che il problema al ginocchio sarebbe arrivato comunque, anche con un’articolazione più prudente del viaggio…

… Sì, ok, ve lo concedo, è una scusa che non regge. Ma torniamo alla domanda iniziale: è la cronaca di un fallimento?

Ho sbagliato il guado del Marecchia, andando verso Gualdicciolo anzichè Pietracuta. Grazie all’errore ho gustato delle meravigliose ciliegie di maggio dal ramo che usciva dalla proprietà di un ex-marmista, in compagnia di vecchie lapidi.

Ho abbandonato il fiume troppo presto a Pietracuta, e mentre riposavo tra i tavoli di una pizzeria chiusa il mio zaino ha incuriosito Gaetano, che portava il passeggino del nipotino. Gaetano mi ha parlato dei suoi cammini, di quello di Santiago, e di altri che non farà perché, mi ha detto ridendo, sua moglie è stufa e rischia il divorzio.

La mia stoltezza  e il mio ginocchio dolente mi ha fatto apprezzare ancor di più la gentilezza di Giancarlo, gestore del B&B I Capanni di Raggio (sì, voglio fargli pubblicità!), che si è fatto 40 minuti di macchina per portarmi a Pieve Santo Stefano, da dove ho concluso questo strano cammino.

Ho sbagliato un sacco, poco è andato come previsto, eppure anche questi 90 km rimarranno con me assieme al sudore, alla ghiaia e  agli incontri. Non vedo l’ora di ripartire a piedi e di fare altre cazzate.

Linkografia

La mia Via degli Dei

Via degli DeiI sogni nel cassetto, a mio parere, devono essere piccoli sogni in piccoli cassettini, così ne possono essere aperti tanti durante la propria vita. Uno dei miei sogni nel cassettino era quello di percorrere la Via degli Dei, una “passeggiata” lungo l’Appennino da Bologna a Firenze, sulle orme degli antichi Romani (e probabilmente degli Etruschi). L’escursione era già stata pensata l’anno scorso e rimandata, prima attorno al 25 aprile, poi attorno al 1°maggio, per il maltempo. Quest’anno, ancora una volta, il tempo non è stato dei migliori, ma considerando che non c’erano particolari previsioni di pioggia, e che ormai mordevo il freno da quasi un anno, ho deciso di partire.

E’ stata una esperienza difficoltosa e meravigliosa allo stesso tempo. Non farò la cronistoria, sarebbe forse noiosa e inutile, senza contare che in Rete si trova di tutto. Qualche consiglio, in base alla mia personalissima esperienza,  vorrei però darlo:

Il periodo

Non credo che fine aprile sia il periodo migliore. Come dicevo, l’anno scorso ho dovuto rimandare il viaggio per le condizioni meteo avverse, e quest’anno ho trovato moltissimo fango che non mi ha certamente agevolato nel cammino. Mi sono perso anche molti panorami a causa della nebbia, e ho voluto/dovuto modificare il percorso originale per sicurezza. Forse il periodo migliore è dopo i primi quindici giorni di maggio, facendo attenzione a non chiudere la tappa al Mugello in occasione del Gran Premio perché, se non volete dormire in tenda fuori dai centri abitati, è quasi certo che non troviate un posto libero

L’allenamento

Sono un appassionato discontinuo di trekking e mi piace camminare. Da poco ho iniziato a correre qualche km (riesco a passare per un pelo il test del moribondo). Senza allenamento secondo me, specie alla mia età (45 anni) non vai da nessuna parte. Penso però che un minimo di preparazione sia sufficiente, purché, di questo ne parliamo dopo, non esageriate con il peso sulle spalle!

L’equipaggiamento

Sono partito con uno zaino che complessivamente (considerato cioè lo zaino stesso) non superava i 10 chili (io ne peso 75, anzi 73 dopo la camminata, per 1,85 di altezza). Cosa conteneva lo zaino? Tre magliette tecniche manica corta, slip, calze, una maglietta tecnica manica lunga, un giubbotto tecnico traspirante, un k-way, un pile (l’ho usato solo in albergo), scaldacollo, un coltello (mai usato ma lo ritengo uno strumento di emergenza oltre al fischietto e a qualche decimetro di corda). Più le dotazioni “classiche”: telefono, caricabatterie, usb power bank (batteria esterna per cellulare) e qualche altro oggettino. L’acqua non deve mai mancare, io ne portavo un litro e mezzo, dopo San Luca e il Parco Talon è più complicato trovare fonti.

Gli errori che ho fatto

Come dicevo sono un appassionato discontinuo di trekking per cui ritengo che non avrei dovuto commettere due grosse leggerezze:

1) Le scarpe: mi sono preparato al viaggio con un paio di scarpe (basse) ma quando ho visto le condizioni del tempo variabili ho deciso di utilizzare il classico scarponcino alto (usato nel passato) che però ho usato solo una volta prima della partenza. Non ne soffro normalmente, ma sono venute le vesciche fin dal primo giorno. Non fate il mio stesso errore.

2) La carta: avevo una guida con delle carte 1:50000, troppo poco dettagliate nel caso tu debba fronteggiare imprevisti. Avevo con me il GPS caricato con waypoint strategici, ma il GPS non era cartografico. Alla fine del primo giorno pensavo che il luogo dove avrei pernottato era a 2,5 km da me: questo però se ci fosse stata la galleria, visto che il punto si trovava dalla parte opposta di una collina! Il percorso che ho fatto non è stato quello classico, a causa delle condizioni meteo non troppo buone. A quel punto il GPS mi è servito solo come bussola. In breve, una carta 1:25000 sarebbe stata l’ideale.

Al di là di questi “imprevisti” (chi cammina per boschi sa bene quali sono i veri imprevisti) è stato un viaggio meraviglioso, tanto desiderato ancor prima che esser tanto vissuto. E’ stato bello incontrare, anche solo per poche centinaia di metri,  viandanti come me, ciascuno con le sue storie. Viandanti di cui non so neanche il nome, ma con il quale si crea un legame, una vicinanza, solo per il fatto avere il medesimo obiettivo e di condividere la stessa fatica. E la compagna di tutto il viaggio, la Natura, paesaggi diversi, pianura, golena, arenarie plioceniche, calanchi, boschi, praterie sommitali, e ancora prati, orchidee selvatiche, querce, faggi e poi cipressi quando scendi dall’altra parte. E infine la Storia, storie di commerci e di eserciti: camminare sulle orme degli antichi Romani, su (piccoli) tratti di strada quasi perfetti , 8 piedi romani, due metri e quaranta di larghezza, lastricati di pietre. Tutto questo mi rimarrà nel cuore per sempre.

Non vi voglio annoiare oltre, se siete qui, forse, è anche perché voi stessi state pianificando la via. E allora vorrei condividere con voi la cosa più importante: un percorso studiato a tavolino, con tanti waypoint, ed il percorso effettivo, la “mia” via degli dei, piena di deviazioni, di errori, di sudore, di tempo perso e di meraviglia. Due tracce da caricare sul vostro GPS, in modo da stare ancora più tranquilli.

E se andate, fatemelo sapere. Mi farete riaprire quel cassettino.

Linkografia brevissima

Qui si (ri)programma l’Italia o si muore! Coderdojo finalmente a Rimini

Computer Science is no more about computers than astronomy is about telescopes.E. W. Dijkstra

coderdojoEra tempo che lo aspettavo! Grazie al lavoro di Mauro, Eugenio, Valentina, Walter (e grazie anche al Comune e alla Biblioteca Gambalunga che hanno messo a disposizione gli spazi), anche a Rimini abbiamo finalmente un Coderdojo! Ne ho approfittato subito ed ho iscritto mio figlio alla prima lezione, venerdì 8 gennaio 2015.
E così, con il mio computer portatile, il suo taccuino, la sua merendina e la sua bottiglietta d’acqua, Fabrizio ha cominciato ad utilizzare la piattaforma di sviluppo Scratch, ad usare semplici costrutti di programmazione e “piegarli” alla creazione di un videogioco più o meno funzionante.

Cosa mi ha spinto a portare Fabrizio al Coderdojo? Farlo diventare un informatico? Fargli usare un foglio elettronico o un editore di testo? Rendergli più facile l’uso di uno smartphone, l’utilizzo di Internet e di Facebook? Niente di tutto questo.
Grazie ai passi da gigante fatti sul tema dell’usabilità, i bambini riescono velocemente ad usare e utilizzare le nuove tecnologie, ma spesso in modo passivo. Quello che (non solo a mio avviso) va insegnato bene ai bambini, fin dalla più tenera età, è la capacità di risolvere problemi complessi scindendoli in problemi più piccoli.
Leggere, scrivere, calcolare sono attività di base che vengono insegnate a partire dalla scuola primaria. Molti si sono accorti però (ultimamente anche il MIUR) che tali abilità non sono più sufficienti. C’è bisogno di una quarta abilità: il pensiero computazionale!

Il pensiero computazionale non è roba da informatici o da ingegneri. Chiunque ha bisogno di questa abilità: il pescivendolo, il politico, il carpentiere, il filologo romanzo, il giardiniere, il prestigiatore. Il computer è solo uno strumento, è il nostro servo sciocco la cui unica abilità è calcolare velocemente. Come diceva quel Dijkstra, così come la scienza delle stelle non si esaurisce con i telescopi, così l’informatica non riguarda certamente soltanto i computer!
Programmare non è roba da nerd con gli occhialoni spessi. Programmare  non è altro che un metodo per realizzare una idea che fino a quel momento sta solo nel nostro cervello. Non è retorica: oggi, in Italia, abbiamo bisogno di questo, di idee
nuove, di nuovi modi di pensare, di volare alto. Solo i nostri figli sapranno risolvere i guasti causati dalla generazione che li ha preceduti. Senza suggerirgli nulla, ma dando loro strumenti. Avreste dovuto vedere quella trentina di ragazzi, che condividevano un computer, che si scambiavano idee, che chiedevano consigli ma che, da zero, come per magia, da una traccia su carta sono arrivati a personalizzare il loro videogioco. Credetemi, sono scene che fanno bene al cuore!

E allora cari genitori, fate rinunciare vostro figlio o figlia, una volta al mese, a un pomeriggio di sport o di compiti. Cercate il Coderdojo più vicino a voi. Come scrivevo più sopra,  portate se necessario il vostro laptop o tablet, una merenda, un quaderno e una penna. Altro non sarà necessario. I vostri bimbi hanno già tutto dentro di loro, se li aiuterete a tirarglielo fuori. BE COOL!

Linkografia

Orchidee spontanee della Provincia di Rimini

Orchidee spontanee e paesaggio vegetale nella provincia di Rimini

Perdonerete il momento autostima ma volevo segnalare, agli appassionati e a chi casualmente arriverà a questo blog, un volume al quale ho collaborato.
Si tratta del libro “Orchidee spontanee e paesaggio vegetale nella Provincia di Rimini. Distribuzione e iconografia”.
La pubblicazione, promossa dal WWF Rimini e dalla Provincia di Rimini, curata dal Prof. Loris Bagli, biologo, docente e “cacciatore” esperto di orchidee, costituisce l’esito di oltre cinque anni di ricerca.
Per questo lavoro il Prof. Bagli si è avvalso di una serie di rilevatori, tra cui le Guardie Ecologiche Volontarie della Provincia di Rimini, di cui faccio parte, che nell’arco del periodo hanno esplorato il territorio della provincia di Rimini a caccia di orchidee spontanee, più o meno comuni.
Il risultato del lavoro è il censimento di ben 41 specie appartenenti a 16 generi, e quattro forme ibride, organizzate in schede, con bellissime foto e un progetto grafico molto gradevole (a cura dell’agenzia handydandy).

Per chi fosse interessato al volume, si possono chiedere informazioni agli indirizzi e-mail  biblioteca_cda_wwfrn@libero.it, oasi_cabrigida_wwfrn@libero.it oppure wwfrimini@libero.it . E’ previsto un contributo minimo di 10,00 euro più eventuali spese di spedizione.

Per chi vuole avvicinarsi “sul campo” al mondo delle orchidee spontanee in provincia di Rimini, provo a dare qualche consiglio, del tutto esemplificativo e personale perchè in realtà la distribuzione è piuttosto vasta sul territorio e con habitat molto diversi.
Il mio consiglio è di andare a caccia di orchidee da fine aprile a fine giugno, a quote collinari fino ai 1400 mt. Ho avuto più fortuna nei nuovi comuni della Provincia di Rimini, come Pennabili, San Leo, Novafeltria, su terreni calcarei, asciutti, su prati non falciati o pascoli, ai margini dei boschi, in zone aperte e luminose o poco ombreggiate. Esemplari più comuni come orchis purpurea, orchis morio o anacamptis pyramidalis si trovano praticamente dappertutto.
Ho alcuni scatti di orchidee nel mio flickr e per alcuni esemplari ci sono anche le coordinate GPS. Le orchidee sono piante cosiddette perenni per cui esattamente nelle posizioni indicate o lì in giro potreste trovarne facilmente.

Trovare un’orchidea è un’esperienza emozionante: da subito le percepisci come “strane” (sono monocotiledoni, hanno una simmetria diversa dagli altri fiori), antiche, affascinanti. Sono spesso colorate, con variazioni cromatiche importanti. Ne trovi di striate, di maculate, nello stesso gruppetto puoi trovare esemplari con gradi di colorazione diversi (apocromìa, una sorta di albinismo vegetale). Fanno capolino dall’erba in un bel prato illuminato e sono dunque molto fotogeniche. Alcune ti “fanno la lingua” (si tratta del labello, un petalo particolare, molto pronunciato), altre ricordano un insetto (è una strategia, una forma di mimetismo per favorire l’impollinazione). Insomma, meravigliose!
Mi raccomando, NON RACCOGLIETELE, TUTTI gli esemplari di orchidee sono protetti dalla Legge Regionale Emilia-Romagna 02/1977 (art. 4). Se io o uno dei miei colleghi GEV vi “pizzichiamo” con una orchidea in mano nell’esercizio delle nostre funzioni sono costretto a farvi il verbale!
A parte gli scherzi, al di là della violazione di una norma, raccogliere uno di questi capolavori della natura è un piccolo attentato alla biodiversità, e una piccola eredità in meno che lasceremo ai nostri figli.

Allora siamo d’accordo. Aspettate ancora qualche settimana, poi armatevi di scarpe da trekking e macchina fotografica. Buona caccia a tutti!!!

“E così ha inizio”

IMG_20130916_091913Una frase severa, marziale, di quel film che ti piace tanto (e papà ne ha “forse” qualche responsabilità).  Sedici settembre duemilatredici: quel giorno è arrivato. Un passaggio importante, la tua carriera di studente (spero) durerà molti anni. Le paure sono tante: ti abituerai ai nuovi ritmi? Ti troverai bene coi nuovi compagni (a parte l’unico “superstite” ritrovato dopo l’asilo)? Troverai difficoltà ad imparare? La scuola pubblica, che cominci a conoscere così, che parte con VENTOTTO compagni di classe, con le maestre non proprio “giovani”, con struttura e attrezzature non proprio all’avanguardia, ti darà la chance di realizzarti come persona, di insegnarti davvero a pensare e a riflettere criticamente sul mondo che ti circonda? Questi pensieri ed altri ancora mi affollano la mente. Poi guardo quel sorriso furbetto mentre affronti questo nuovo passo della vita e sono un po’ più sereno. Sono convinto tu sia un bambino davvero sveglio e intelligente e farò di tutto affinchè la curiosità non ti abbandoni mai. Spero che la sete di conoscenza di Ulisse, quel personaggio antico di cui ti ho parlato e che ti ha subito affascinato, ti accompagni per tutta la vita. Anche se i Polifemi, gli Scilla e i Cariddi non sempre riuscirai a schivarli. Buona fortuna amore mio.

P.S. Fabrizio è quello a sinistra 🙂

Il tempo ritrovato

 Che ti move, o omo,
 ad abbandonare le proprie tue
 abitazioni delle città,
 e lasciare li parenti e amici,
 ed andare in lochi campestri
 per monti e valli,
 se non la naturale
 bellezza del mondo?
 (Leonardo da Vinci)
 Home is behind
 The world ahead
 And there are many paths to tread
 Through shadow
 To the edge of night
 Until the stars are all alight
 Mist and shadow
 Cloud and shape
 Hope shall fail
 All shall fade
 (Peregrino Tuc)

Sasso di SimoneErano troppi, troppi anni che non lo facevo. E finalmente quel giorno è tornato. Ho preso lo zaino, ci ho messo una tenda, un sacco a pelo e poco altro e ho camminato, camminato, finchè non ho trovato il posto dove piantare la tenda per passare la notte.
Un’ora e mezzo di cammino,  in compagnia, in salita, il cuore che batte forte per la fatica ma anche per quella passione ritrovata, per quei faggi a perdita d’occhio, per quel silenzio che non è proprio silenzio, se non per le nostre orecchie di cittadini. Fino allo spiazzo, un’area attrezzata con panchine, un tavolaccio e un camino. Una grossa comodità, dove comunque è la Natura che detta le regole.
Le chiacchiere, il fuoco, il vino, le stelle, valgono bene una notte movimentata: sveglia alle 00.40, poi alle 2.40, poi alle 5.10; I rumori del bosco al quale non sei più abituato, il ramo che si stacca e si schianta non troppo lontano, il gufo, le mucche romagnole insonni.

La cisterna principale della Città del Sole, ancora ben conservata

Il mattino dopo un altro piccolo giretto, verso la cima del Sasso Simone e  i resti della  Città del Sole, dove l’uomo ha dovuto soccombere alla Natura che sa essere impietosa.

E poi giù, verso la civiltà, verso un piatto di tagliatelle al tartufo. E verso casa. Con nuove idee di “avventure”, prima che sia troppo tardi.

La biodiversità va “coltivata”

Uno stacchinoTutti, grosso modo, sanno cosa sia la biodiversità. Sapere come concretamente si tutela, e soprattutto CHI la conserva, è una cosa diversa.
Nello specifico, se ci si riferisce agli alberi, tutti noi intuiamo i danni incalcolabili derivanti dagli incendi che devastano le nostre foreste. Quello che forse non ci siamo mai chiesti (almeno io finora non l’avevo fatto, finché non l’ho visto coi miei occhi) è che cosa si fa per ripristinare, per quanto possibile, l’esistente.

Una foresta non è come il balcone di casa (se mi marcisce il geranio, vado al vivaio e ne compro un altro). Per conservare la biodiversità, in un suolo devastato da un incendio, andrebbero piantati gli stessi alberi che facevano parte della foresta stessa. Ma se quella foresta è in cenere, come si fa?

Semplificando molto, nel tempo la legislazione italiana ha condotto alla creazione prima di un libro Nazionale Boschi da Seme (LNBS) e, successivamente, con la delega alle Regioni, di Libri Regionali Boschi da Seme (LRBS). Che cosa sono? Si tratta di elenchi di boschi certificati di speci autoctone e con ben determinate caratteristiche (l’altezza sul livello del mare, il tipo di terreno, ecc.) dal quale prelevare i semi delle piante, farli germinare in vivaio per poi mettere a dimora le piantine ottenute.

cartellino

Si tratta di un’attività davvero molto particolare. Questi semi devono avere un’alta possibilità di germinare, quindi in alcuni casi (conifere), anziché raccogliere gli strobili (le pigne) che cadono sul terreno, queste vengono prelevate direttamente sulla pianta, in alto, da quelli che sono chiamati “uomini scoiattolo” e che con corda e ramponi raggiungono le vette più alte (c’è un bellissimo documentario passato su Geo&Geo sull’attività degli stacchini, di cui purtroppo non riesco a trovare nessuna traccia in Internet). Gli esemplari non vengono raccolti solo dalle piante più in salute (si farebbe una sorta di selezione genetica) ma da tutte quelle in una certa area.
I coni raccolti seguono poi tutta una serie di lavorazioni. Le pigne vengono essiccate in modo che si aprano, con dei vagli i pinoli vengono separati dalla sporcizia e dai frammenti della pigna e, ottenuto un prodotto “puro”, queste sementi vengono stoccate in celle frigorifere, a temperature opportune, dove si possono conservare anche per anni (nel caso di molte conifere 30-40).
Queste lavorazioni vengono eseguite per numerose speci, e ciò consente di salvaguardare la biodiversità arborea nel nostro paese evitando che per i rimboschimenti si utilizzino speci alloctone (importate dall’estero).
Uno dei due luoghi (a gestione del Corpo Forestale dello Stato) dove si effettuato tutte queste attività è il vivaio “Alto Tevere”  di Pieve Santo Stefano (AR), che cura prelievo e conservazione dei semi arborei del centro-sud. L’altro centro si trova a Peri, in provincia di Verona e si occupa delle semenze dell’arco alpino.
E’ un lavoro silenzioso, che conoscono solo pochi addetti ai lavori. Chi ricorda l’incendio di Peschici (luglio 2007), o quello della pineta di Lido di Classe (luglio 2012) non sa che le piante rimesse a dimora provengono da questo centro, che ha utilizzato i semi conservati prelevati dai “fratelli” delle foreste distrutte. Nessuno sa ad esempio che dal centro di Pieve provengono 25000 piante utilizzate per l’arredo urbano dei nuovi insediamenti a seguito del terremoto dell’Aquila, o che 300.000 piante sono state fornite per il recupero del verde urbano di Sarajevo distrutta dal conflitto nei Balcani.

Si tratta di centri all’avanguardia, eppure minacciati dai continui tagli, oramai con pochissimo personale.  Un’altra eccellenza italiana che rischia di scomparire, assieme alla biodiversità del territorio.

E allora, per quel poco che posso fare, posto una piccola linkografia in materia di raccolta di semi forestali, invitandovi, se passate da quelle parti, a visitare il Centro di Pieve Santostefano (AR).

Linkografia

Vite brevi

[Capax]:“Comunque mi e’ andata bene, no? Voglio dire, quanti anni, quindicimila? Abbastanza bene, no? Ho vissuto un bel po’ “.
[Morte]: “Hai vissuto quanto gli altri: una vita intera. Ne’ più ne’ meno.”
 

Stamattina ho saputo che è morto Alessandro. Io e Alessandro non ci siamo mai incontrati, lui stava a Roma ed io in Romagna. Con Alessandro non ci siamo mai parlati, lui aveva un blog, sul quale non ho mai lasciato nessun commento, ed un account Friendfeed dal quale parlava delle sue piccole vittorie e delle tante sconfitte contro il suo male incurabile. Alessandro era un po’ come Don Chisciotte, però andava incontro al mulino a vento in sella alla sua Vespa e con la sua chitarra elettrica in resta.

Io una volta la morte in faccia l’ho vista, ma proprio proprio bene, e come penso sia accaduto per altri che hanno avuto la mia esperienza, io della morte non ho più paura.  Del dolore, però, soprattutto del dolore degli altri, ho sempre fatto molta fatica a parlarne. Così, leggendo delle peripezie di Alessandro, mi veniva molto difficile commentare qualcosa di diverso dal “Bravo”, “Forza!”“Daje!” e cose così. Pensate, gli stessi incitamenti che ho dato a mio figlio quando ha scritto la sua prima parola o ha pedalato per la prima volta con la bici senza rotelle, li ho riservati a chi doveva assumere morfina per difendersi dal dolore che gli procurava il corpo devastato dal cancro.

Io un po’ mi vergogno di questa cosa, e sarà per questo che reagisco diversamente dal solito. Perchè vedete, il fatto è che non piango quasi mai. Forse per carattere, o esperienze, o tutte e due le cose, tendo a trattenere tutto dentro. Per Alessandro, che non ho mai incontrato, con il quale non ho mai parlato, stavolta faccio fatica. Ciao Ale.

Tenda 47

Dopo un lungo periodo di indecisione, dal 21 al 28 luglio ho deciso di lavorare come volontario di Protezione Civile al campo di accoglienza terremotati di Crevalcore (BO). Potrei raccontare del mio lavoro, dell’escursione termica della mia tenda n. 47, delle mie emozioni, della fatica e dell’allegria nel condividere l’esperienza con altri compagni, la terribile mancanza della mia famiglia, della gratitudine ma anche dell’ingratitudine e dell’indifferenza.
Ma voglio dedicare il mio e il vostro tempo a tre brevissime storie, in rappresentanza di tutte le altre.

Leonida (*), il capocampo, volontario di Protezione Civile, è estremamente competente e professionale. Leonida ha gestito una cinquantina di tende, un paio di centinaia di persone tra “ospiti”, volontari e forze dell’ordine, mezzi e risorse. Fermo e risoluto quando era il caso, conciliante in altre situazioni, negoziava i cambiamenti con i leader della comunità.  Leonida ha gestito alla perfezione le tensioni tra e con gli italiani e con i musulmani di varie etnie, ad esempio con l’arrivo del ramadan. Con queste incredibili capacità, Leonida nella vita non dirige o possiede alcun ufficio o azienda, ma ripara fotocopiatrici. Nel periodo di impiego al campo era disoccupato. Fortunatamente ricomincerà presto un nuovo lavoro.

Ahmed, in Italia da 22 anni, è un muratore e realizza impianti elettrici e parla meglio il bolognese dell’italiano. Ahmed ha fondato un’associazione di cultura islamica e, per sua fortuna, la sua casa è perfettamente agibile. Alla seconda scossa è corso a scuola con la certezza che sua figlia fosse rimasta sotto le macerie, ma Allah lo ha aiutato. Alla sera, Ahmed arrivava con la sua Tipo scassata e allietava la fine del ramadan, a cena, con il suo tè alla menta, che non mi faceva dormire la notte, non certo per la teina (arrivavo in tenda la sera stanco morto) ma per lo spaventoso effetto diuretico che mi faceva correre in bagno (200 mt. andata e ritorno dalla mia tenda) 2-3 volte.
Proprio per il ramadan, spostata di un’ora il termine del servizio mensa, Ahmed ha fatto in modo che ogni sera qualcuno dei suoi, dopo la chiusura, si fermasse per aiutarci a pulire e riordinare. Nessun “ospite” italiano lo ha mai fatto.

Euphemia, moldava ma dal nome greco, è in Italia dal 2000. Sposata in patria con un marito che, poco dopo, in un incidente perse entrambe le gambe, ha fatto contemporaneamente la badante e la donna delle pulizie per inviare denaro in Moldavia, al marito invalido. Un giorno, per caso, scoprì che lui con quei soldi ci manteneva una “nuova” famiglia. Adesso suo figlio, rimasto con lei in Italia, ha 21 anni e convive con una bella ragazza. Attualmente Euphemia fa l’OSS, ma studia anche ragioneria. Il prossimo uomo lo vuole già con un lavoro, non ha più voglia di mantenere nessuno. Tra i suoi consigli “non tradire moglie; per un pezzettino di fica, una volta, non rovinare tua famiglia”. Per un paio di giorni, Euphemia ha lavorato gratis con noi,  come noi, per aiutare  italiani e musulmani di varie etnie, ma nessun moldavo. Nel 2015, forse, riuscirà ad essere italiana anche lei.

Ho poi sentito di altre storie, appena dopo le scosse, di persone con famiglia, lavoro, problemi, vita insomma, che non si sono fatti una doccia per una settimana, con barbe ormai lunghissime, che non hanno quasi dormito perchè dovevano montare tende e portare corrente, acqua e fogne, il più velocemente possibile. 

Senza questa gente la Protezione Civile di fatto non esisterebbe, la Natura vincerebbe, i terremoti e i disastri riporterebbero i territori al medioevo.

Di questa gente non sentirete mai parlare, ma io sono profondamente onorato di averli conosciuti. Anche se è piuttosto probabile che non li rivedrò mai più. Grazie!

(*) I nomi in questo post sono di fantasia

RiminiCamp 2011: un resoconto parziale

La locandina del Riminicamp 2011Ho avuto la fortuna di partecipare (almeno parzialmente) a questa iniziativa che vi avevo segnalato qualche giorno fa, anche se per impegni personali ho potuto assistere soltanto alla prima tavola rotonda, senza purtroppo partecipare ai barcamp del pomeriggio.
Devo dire che la mia impressione è stata ottima. Il passaggio del testimone tra il primo gruppo di relatori (i padroni di casa, Pietro Leoni, Irina Imola, Mauro Ferri, rispettivamente dirigente, assessore e web content manager  del Comune di Rimini) e il secondo (Claudio Forghieri, moderatore, Gianni Dominici, Stefano Epifani, Ernesto Belisario, Laura Sartori)  ha reso bene quella che è la transizione che sta avvenendo. I promotori dell’incontro, ancora con un approccio tradizionale al web pubblico, ai suoi linguaggi, ma perfettamente consci di essere ad un punto di svolta, hanno lasciato la parola a relatori che hanno dispiegato una visione e un linguaggio nuovo. Sia chiaro che non si intende dare all’aggettivo “tradizionale” una connotazione negativa, va ricordato che solo il 18 ottobre scorso è stato messo online il portale dati.gov.it, la prima azione concreta della PA nel campo degli open data. Con la regione Emilia Romagna che, assieme a pochi altri, può essere ben considerata uno degli early adopters.

La transizione è ben descritta dall’oggetto della tavola rotonda cui ho assistito:  “web e PA: dalle reti civiche ai social media”

Ormai tutte le amministrazioni pubbliche, a tutti i livelli, hanno un loro sito web. A causa dell’interesse crescente delle persone nei confronti dei social network, e per consentire e favorire l’esercizio della cittadinanza digitale, è necessario fare un passo in più.
I capisaldi della rivoluzione del Governo 2.0 sono due: il presidio (non la semplice presenza) nei social network, e la convinta adesione all’open data, “liberando” i dati pubblici e mettendoli a disposizione di cittadini e imprese. In breve, passare dall’informazione alla conversazione.

Non è più soltanto un problema di trasparenza, ma qualcosa che va oltre: attivare conversazioni e liberare dati possono favorire la creazione di user generated content, lo sviluppo dell’intelligenza collettiva e di reale valore pubblico. L’obiettivo delle pubbliche amministrazioni deve essere dunque quello di riconcepire il ruolo del sito web istituzionale.

Il fatto è che preseguire questo obiettivo pone sul campo una serie di problemi impegnativi, che ho provato a schematizzare ma che in realtà si sommano e si compenetrano:

I costi
I costi di accesso ai network sociali è praticamente nullo, ma gli amministratori non si devono illudere. Attivare conversazioni con i propri cittadini richiede organizzazione e preparazione. Nessuna innovazione reale si fa a costo zero, nessuna conversazione proficua può essere gestita dagli stagisti  o con gli account di SNS che restano attivi giusto per il tempo della campagna elettorale (il dato esposto da Epifani è impressionante: il 78%)

Le competenze
Le competenze (skills) vanno analizzate sui due poli della comunicazione. Da una parte, l’età media della PA rimane alta e ciò non favorisce l’adozione di nuove tecnlogie. Saper utilizzare i SNS viene ancora vista come una competenza informatica, come se per aprire un libro fossero necessarie competenze tipografiche. Il grido di battaglia dovrebbe essere “Formazione, formazione, formazione” ma la formazione costa, e nei ranghi ridotti di alcune amministrazioni il costo della perdita di un’ora di produttività per un’ora di formazione è rilevante. L’idea può essere quella dell’autoformazione, oppure la creazione di una social media policy, sul solco di altre esperienze in tal senso (Department of Justice  of Victoria, Australia).
L’altra faccia della medaglia è quella dei cittadini. Restano più che urgenti in Italia politiche di inclusione digitale, certamente sul lato delle infrastrutture ma soprattutto sul lato dell’alfabetizzazione (il digital divide, a differenza di quanto ci si aspetterebbe, non riguarda soltanto la componente più anziana della popolazione, questo quanto emerso nel corso della tavola rotonda)

Il paradigma
Il cambiamento nelle PA deve riguardare innanzitutto la forma mentis. Penso, tanto per fare un esempio, alle due ultime grosse campagne pubbliche, la PEC e il “Mettiamoci la faccia”. Trasparenza e valutazione sono elementi importanti, ma la loro applicazione è figlia di un modo “vecchio” di aprirsi ai cittadini. Lascio al lettore la ricerca delle critiche sulla PEC, dico solo che sostituire la raccomandata cartacea con quella elettronica sembra una rivoluzione a metà. Ha senso uno standard tutto italiano? E ancora: le famose faccine di Brunetta sono un tipo di feedback assolutamente limitato. Il denaro pubblico speso per i monitor touch screen che troviamo in molti sportelli pubblici non poteva essere utilizzato per progetti migliori?

La burocrazia
La P.A. non è snella, i livelli di responsabilità sono molti. L’ottica è ancora quella dell’emissione di un provvedimento (ottica importante, ma la PA moderna non può essere semplicementea una scatola nera con una istanza in ingresso e un provvedimento in uscita. Deve essere sempre più una rete di servizi, dove i cittadini contribuiscono al risultato. Sarebbe meraviglioso potenziare in senso social l’art. 11 della legge 241/1990 !

La resistenza
Molto semplicemente, davvero gli amministratori hanno voglia di mettersi in gioco? Comun-icare (mettere in comune cose) è faticoso, significa scoprire il fianco alle critiche, significa saperle gestire.

Il soggettivismo etico
Ai cittadini interessa davvero partecipare? Quanto ciò dipende dalla volontà reale di partecipazione stessa e quanto dall’usabilità della piattaforma per la comunicazione?

Insomma, di “carne al fuoco” ce n’è davvero tanta, ma spero, nell’estrema sintesi cui sono costretto, di avere dato qualche piccolissimo spunto di riflessione. Utilizzando la linkografia che vi propongo e con un bel giro per la Rete, potrete farvi un’idea della bellissima giornata di sabato. C’è una cosa che invece consiglio di fare di persona (Riminesi e non): una bella visita al Museo della Città, dove le dieci antenne wi-fi indoor (più le due esterne istallate nel 2010) assicurano una connessione stabile e veloce.

Concludo con la speranza che il Comune di Rimini, visto che il RiminiCamp del 3 dicembre ha coinciso con la Giornata Internazionale dell’open data , si adegui velocemente liberando quanti più dataset possibile. Spero inoltre che qualcun altro voglia segnalare qualche altro resoconto della giornata che copra la parte di evento che ahimè non ho potuto seguire.

Linkografia

Il sito web del Comune di Rimini
La pagina Facebook del Comune di Rimini
L’account twitter del Comune di Rimini
La timeline della discussione su twitter con hashtag #riminicamp2011
Il vademecum per le PA sugli open data
# Le slides di Salvatore Romano (intervento della seconda tavola rotonda)


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